ALGHERO – “ieri sera sono uscita ad Alghero, ed è stato come assistere al funerale di una città che non si accorge nemmeno di essere morta. Il centro storico, quello che dovrebbe essere il salotto buono, era vuoto come un hotel a cinque stelle senza ospiti: mura catalane illuminate, ma nessuno a viverle.
E poi il paradosso: al Lido, la sagra della porchetta. Fumo, griglie improvvisate, balli di gruppo, la puzza di arrosto che ti resta addosso come un souvenir indesiderato. E questa dovrebbe essere la vetrina turistica di una città che sogna il lusso?
Sembrava di essere alla festa dell’Unità di una periferia di quart’ordine, dove mancavano solo i banchetti con gli umarell e il gnocco fritto.
Io, che cerco di vendere esperienze di pregio, mi ritrovo a pensare: ma davvero vogliamo attirare clienti altospendenti per poi mandarli a mangiare la porchetta sul lungomare?
Alghero sembra aver scelto la scorciatoia più facile: un cammino in discesa verso la sagra permanente, verso il ribasso, verso la mediocrità spacciata per folklore.
Il lusso non nasce tra la cenere delle griglie e sulla paglia gettata per terra. Il lusso è un fine lavoro di cesello, il racconto di una destinazione e la qualità si ottiene con le promesse mantenute di una destinazione con una forte identità locale.
Una città regge se vende valore, se mantiene la promessa di un borgo pulito, di un mare splendente e di tradizioni nostre, non importate. Chi viene ad Alghero viene per la Sardegna, e invece si ritrova catapultato nella mediocrità e nella sporcizia.
Se è questa l’Alghero che vi piace fatte pure ma personalmente ieri sera mi sono vergognata di essere algherese”.
Un’imprenditrice turistica algherese