Commenti offensivi: è diffamazione

ALGHERO – Informazione ufficiale e non al centro del dibattito. L’attacco di Grillo ai giornali e tg ha scatenato un putiferio. Ma ancora una volta, il leader dei 5 Stelle si inquadra come un ottimo comunicatore spostando l’attenzione dai gravi problemi del suo movimento legati soprattutto a Roma e all’amministrazione Raggi verso il tema dell’informazione. Ha proposto una giuria popolare per giudicare le notizie degli organi ufficiali per evitare la diffusione di quelle false. Il direttore de La 7 Mentana, cosi come larga parte della politica nazionale e il mondo del giornalismo, si è infuriato annunciando una denuncia.

Ma il problema sarebbe di facile soluzione. Infatti tutti sanno che le bufale nascono da siti precisi registrati spesso in paesi dove la tassazione è più leggera creando copie di media già esistenti (uno dei più noti è il Fatto QuotiDaino) e diffondendo “fake news” ad hoc al fine di raggiungere click record per incassare dalle pubblicità. Tutt’altro discorso, ad esempio, di Lercio.it che invece è uno spazio ironico e unico nel suo genere ma certamente non lede la diffusione delle comunicazioni reali. Certo, alla base del crescente problema. che ha visto anche il Parlamento annunciare degli interventi, c’è la credulità popolare verso infondate e assurde notizie condivise soprattutto sui social che fanno da cassa di risonanza.

Restando sul tema, c’è un importante novità che riguarda un importante e storica decisione: i siti sono responsabili per i commenti dei lettori. E dunque anche i social, nello specifico Facebook, oramai messo sullo stesso piano di un organo di informazione come recentemente commentato dal Governo Gentiloni. La Cassazione ha stabilito che i gestori dei siti, anche quelli non professionali, sono responsabili dei commenti lasciati dai lettori-utenti. Anche di quelli non anonimi, dove dunque ci sarebbe una traccia di identificabilità.

È esattamente il caso della sentenza 54946 pubblicata pochi giorni fa con cui il responsabile di un sito dedicato al calcio (Agenziacalcio.it) è stato condannato per un commento pubblicato nel lontano 2009 nel quale si definiva il futuro presidente della Figc Carlo Tavecchio, all’epoca alla guida della Lega nazionale dilettanti, un “emerito farabutto” e “pregiudicato doc”. Assolto in primo grado, il legale rappresentante della società che pubblica Agenziacalcio.it è stato condannato in appello e la sentenza è stata confermata. Il gestore del sito dovrà pagare 60mila euro a Tavecchio, per “concorso in diffamazione”: non ha rimosso il commento denigratorio. Questo discorso vale anche per Facebook e per i commenti che vengono pubblicati durante la condivisione degli articoli. Insomma, come sempre accade in questi casi, gli organismi giudiziari e politici, seppur in grave ritardo, arrivano a regolamentare i grandi fenomeni sociali che stanno cambiando, come nel caso dei social, la vita delle persone.

S.I.